Altolà!



Il turbine di reazione che si è scatenato sulle teste degli anarchici, in seguito al fatto di Monza, e le velenose invettive della stampa borghese, hanno avuto la virtù di far perdere il sangue freddo ai compagni dell’Agitazione e dell’Avvenire sociale, al punto da indurli a fare delle dichiarazioni né opportune, né utili, né necessarie, in un momento in cui il disprezzo, la fierezza, il silenzio, potevano solo rispondere, poiché il regio procuratore avrebbe impedito di mettere i punti sulle i.

Si son sentiti dire assassini; avrebbero potuto rispondere: e voi siete dei Bava Beccaris. Invece hanno voluto difendersi ed hanno stampato che «il partito socialista-anarchico non ammette nei suoi metodi di lotta l’omicidio politico».

Io mi domando se era il caso, in questo momento, dato il fatto accaduto, di saltar fuori con simile dichiarazione; e se essa non avrebbe avuto per effetto di far sembrare dei gesuiti o dei vili i redattori dei due periodici accennati. Noi lo sappiamo bene che, teoricamente, non ammettiamo l’omicidio in genere, ma questo non ha mai formato l’oggetto speciale di un dibattito né poteva formarlo; quindi il partito non se ne è occupato nel senso di fissare quali siano gli assassinii politici e se questi debbano ammettersi o no.

Noi sappiamo però ancora che gli assassinii, politici o no, hanno un movente, una causa; onde è di questa causa che noi ci siamo sempre occupati e ci occupiamo, la quale ha le sue radici nell’organismo politico-sociale.

Era possibile, in Italia, in questo momento, risalire a queste case, esaminarle, tirarne le conseguenze?

No? Ebbene, allora bisognava tacere anche sull’effetto!

Avendo solo parlato dell’effetto, senza poter dire una parola sulle cause, si è caduti in una debolezza e quel che è peggio anche, a mio modo di vedere, in una codardia.

Il termine è duro, lo riconosco, ma non posso trattenerlo, sebbene si tratti di compagni coi quali ho diviso le aspirazioni e un po’ anche le lotte per l’idea anarchica.

Poiché quello che mi preoccupa è il senso che acquista quella dichiarazione nuda e cruda senza un rigo di giustificazione, altro che qualche ingiuria ai forcaioli, ai quali si è fatto l’onore di sacrificare la simpatia che volere o non volere noi non possiamo fare a meno di sentire per Bresci.

Egli, questo uomo pieno di forza e di vita, si è sacrificato, mentre avrebbe potuto vivere col frutto del suo lavoro e godere anche le poche soddisfazioni che un giovane ed eccellente operaio qual è avrebbe potuto sperare.

Ma no, egli sentì in sé il fremito della ribellione contro le innumerevoli ingiustizie che pesavano e pesano sul suo paese, in lui si sintetizzò il dolore, le sofferenze di milioni di proletari, sentì gli sdegni, le ire compresse, sentì l’indomabile impulso di agire ed agì.

Possiamo noi unirci ai forcaioli di tutte le gradazioni e di tutte le tinte, per dare la croce addosso all’infelice che è in mano della giustizia borghese?

No, noi non possiamo e non lo dobbiamo! Ebbene, purtroppo, le dichiarazioni dei periodici di Ancona e di Messina, significavano appunto un’alleanza cogli umanitari, che predicano la strage all’ingrosso e la respingono al minuto, contro Bresci.

Questo è il vero significato di quelle dichiarazioni e per questo io le respingo come pure le respingono tutti i compagni d’origine italiana che si trovano qui in Parigi.

Ma oltre a respingerle io dico ancora una cosa: potevano i redattori dei due periodici parlare a nome del partito?

No, essi non potevano parlare di partito, ma solo potevano esprimere il loro parere, come redattori di giornali e nulla più. Se così avessero fatto, nessuno poteva contestare loro il diritto di esprimere la propria opinione, ma non avevano il diritto di parlare per tutti.

Anche Jean Grave, nei suoi Temps Nouveaux ha espresso idee sue riguardo a questo attentato che ha pure spiegato, ma non riprovato, ma si è guardato bene dal tirar fuori il partito; ma ha parlato per sé, con lealtà e semplicità, poiché egli conosce davvero l’idea anarchica e sa che ciascuno agisce solo per proprio conto e non implica né la responsabilità, né l’adesione di un partito.

E così pure il Bresci; l’atto suo non implica che lui personalmente che l’ha compiuto, quindi nessuna necessità di parlare di partito.

Quando il partito, nel suo insieme, agirà in un qualche senso, per concorde proposito di coloro che sono anarchici, potremo parlare in nome suo, ma fino a che il partito anarchico esplica la sua azione nella propaganda, lasciando a ciascun aderente piena libertà d’azione e la responsabilità dei suoi atti, il partito lo si deve lasciar da parte.

Ma i compagni di Ancona e di Messina, sentendo tutto il clamore dei reazionari rintuonare loro nelle orecchie, hanno forse avuto timore che la propaganda sia compromessa; se così è, come immagino, sono in grande errore.

Quelle invettive interessate hanno la vita d’un giorno, passano come i neri nuvoloni degli uragani in tempo d’estate; mentre le sofferenze del popolo rimangono.

E questo popolo che per un momento si è lasciato impressionare dai commedianti, domani rifletterà e troverà certamente che se quello che ora fa fare tanto chiasso fu un delitto, ben altri delitti si perpetrano contro di lui cui nessuno accenna, tranne quei feroci anarchici cui sono rivolti gli strali dei fautori della strage dei proletari.

Comprenderà che questi atti sono inevitabili, quando sono provocati dal malessere e dalla mancanza di libertà, che se anche la propaganda anarchica vi ha la sua parte determinante, tali atti non nuocciono al popolo.

Del resto noi dobbiamo metterci in testa che qualunque cosa diciamo, la borghesia non rinuncerà mai a rivolgere la sua persecuzione contro tutti i seguaci dell’anarchia, se lo può, perché non sono solo i colpi di revolver che essa teme, ma bensì il continuo lavorio della nostra propaganda.

E se questa propaganda nostra tende a persuadere il popolo della giustezza delle nostre teorie, tende pure, non possiamo negarlo, a svegliare in esso il sentimento della ribellione contro i mali sociali.

Se fra coloro che si convincono della necessità di questa ribellione c’è qualche impaziente che preferisce agire isolato piuttosto che attendere che agiscano anche gli altri, noi non possiamo condannarlo e nemmeno possiamo dichiararlo assassino; gli assassini sono coloro che rendono inevitabile l’ira degli oppressi.

Concludo quindi coll’invitare i compagni d’Italia a non solidarizzarsi, su tale questione, coi redattori dell’Agitazione e dell’Avvenire sociale.


F. Vezzani


(L’Aurora, anno II, nuova serie, n. 1, 8 settembre 1900)

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